martedì 30 agosto 2011

Le cose di cui sono capace (Alessandro Zannoni)



Collana Corsari, diretta da Antonio Paolacci
Le cose di cui è capace Alessandro Zannoni le trovate quasi tutte qui, nella bellezza fottuta di questo romanzo.
Gian Paolo Serino


Lui si chiama Nick Corey, proprio come il protagonista di Colpo di spugna di Jim Thompson. All'anagrafe, però, il suo nome è Nicola Coretti: è lo sceriffo italo-americano della piccola cittadina texana di BakereedgePass e non è affatto uno stinco di santo.
Nick Corey odia la sua città, odia il deserto, odia le vacche e tutti gli americani. Odia pure suo padre, che l'ha costretto a fare quel lavoro, ma più di tutto odia i grattacapi che gli dà chi infrange la legge.
Nick bestemmia, beve e, per debellare la delinquenza, usa metodi assai bizzarri, oltre che assolutamente fuorilegge. Un giorno il suo amico Rudy gli chiede aiuto: ha perso una grossa somma al gioco e per questo sta rischiando la vita. Nick deve trovare una soluzione, ma trovarla non è per niente facile, anche perché tutto accade alla vigilia del grande rodeo, quando la città si riempie di cowboy ubriaconi e attaccabrighe che vengono da tutto lo Stato a creare disordini.
E poi, come se non bastasse, riappare anche Stella, la sua ex promessa sposa, appena uscita dalla galera...
Zannoni torna in libreria più sporco, più cattivo, più audace che mai, con un omaggio dissacrante e spericolato al racconto di frontiera americano. Il romanzo riprende la struttura della tipica storia di oltreoceano per spingerla fino al parossismo, riuscendo a portare una ventata d'aria fresca nel contesto della narrativa italiana.
Alessandro Zannoni, ex antiquario, vive sul confine tra Liguria e Toscana. Scrittore autoprodotto, ha pubblicato con reale successo di critica e pubblico quattro romanzi con lo pseudonimo di Michelangelo Merisi. Dal 2002 al 2006 ha fondato e diretto alcune collane di gialli e noir; ha organizzato la "Festa della letteratura noir" tra Lerici e la Lunigiana; è l'ideatore del festival annuale di Sarzana "Leggere fa male".
Con il suo vero nome ha pubblicato il romanzo Imperfetto (Perdisa Pop, 2009) e la novella Biondo 901 (Perdisa Pop, 2008) da cui è stato tratto un monologo teatrale.

Fonte:
www.gruppoperdisaeditore.it

giovedì 25 agosto 2011

Il re di bastoni in piedi. La morte, la vita, il rovescio della medaglia.


Maricò, Maria Consiglia, è una ragazza semplice. Segue il suo destino senza lamentarsi. Come tutti, desidera ma non chiede, è quasi rassegnata a seguire gli eventi e ad accettarli come se fossero un disegno già prestabilito. Non un desiderio, né un filo di trucco, né un abito più aggraziato, lei che è una bella ragazza: la Cenerentola di casa Serena.
Serena era il nome della madre, che morendo le ha lasciato la pensione e la responsabilità di una sorella depressa e della zia Cettina, ormai anziana. Maricò è cresciuta in fretta. È faticoso per Maricò portare avanti casa Serena ma lei lo fa di buon grado badando alle responsabilità, mentre la spensieratezza e la giovinezza le scivolano tra le mani. Lei è consapevole di questo. L’unico uomo che ha capito fino in fondo Maricò è quel raffinato e colto signore che tutti chiamano Don Cecè che abita da sempre a casa Serena.
Don Cecè è anziano e vuole bene a Maricò come una figlia, la porta a teatro tra i notabili della città. “Vestiti bene” le dice.
Maricò non lo ascolta ma adora Don Cecè per la sua cultura e per la sua gentilezza d’animo; lui che, a un certo punto, dovrà morire. Lo hanno detto le carte.
Sì, perché Maricò ha il dono della preveggenza. Sogna avvenimenti futuri e legge le carte. Ma non abusa di questo, lo fa solo per gli amici.
Qualche tempo dopo, Don Cecè muore. Lascia tutto a Maricò, beni, onori e oneri. Don Cecè le lascia i diari che contengono delle verità scottanti su Vittorio, un boss della malavita vittima della solitudine, e su Amoroso, il suo avvocato.
La mancanza di Cecè acuisce sempre più questa solitudine degli affetti che la consuma dall’interno. Fortunatamente, Maricò si riprenderà la spensieratezza e l’amore che le spettano semplicemente camminando a piedi nudi verso la stanza di Raul, un commissario di polizia che lavora per i servizi segreti, venuto ad abitare a casa Serena.
Questa la storia delle tante solitudini e degli isolamenti voluti o imposti da una realtà che non perdona. Al contempo, è la storia di una ragazza del sud sullo sfondo di una Napoli soffocata dalla criminalità e dall’omertà di una popolazione vessata e ridotta alla povertà più assoluta dagli interessi di pochi malavitosi senza scrupoli.
La narrazione è ridondante, gronda di riferimenti popolari, quasi un dipinto di usi e costumi del sud, con i suoi colori, musicalità del dialetto e dignità della vita nonostante le mille difficoltà. La storia di tante persone oneste che “tirano avanti” in una realtà difficile. Ma non sono persone che si scoraggiano o si arrendono, esse vivono con intensità e ponderatezza la loro vita nel modo migliore possibile.
Un romanzo che racconta della gente in modo serio, condotto con ironia. Un libro che narra del sovrannaturale, radicato nella credenza popolare, quello che si tramanda attraverso i secoli durante i racconti pomeridiani delle signore anziane che ricamano davanti all’uscio di casa, sedute su piccole sedie impagliate. Le ho viste.
Il sovrannaturale come tradizione dimenticata nel chiasso del baccano multimediale. Realtà dimenticate da cui scaturisce l’elemento oscuro. Ma la chiave interpretativa di Francesca Battistella si configura come una sorta di sovrannaturale positivo che aiuta l’uomo e lo avvisa degli eventi nefasti, lo salva dal male. Qui, il sovrannaturale non viene inteso nell’accezione comune, ovvero potenze oscure, spesso malvagie, che opprimono l’uomo, ma rappresenta una sorta di alone protettivo, quasi un riferimento all’antico deus ex machina, che si propone nel momento in cui qualcosa di nefasto sta per accadere e aiuta gli uomini onesti.
La stessa vita di Maricò sembra per certi versi sostenuta da figure sovrannaturali che la conducono, senza che lei lo voglia, verso la felicità.
Da questo romanzo si evince che il male non è ciò che può scaturire da un ignoto elemento sovrannaturale. Il male si trova in ognuno di noi. Ma si è in tempo per cambiare. In questo senso, il re di bastoni in piedi si configura come il segno di tutto questo, è una carta fatale, presenta un forte valore simbolico nella misura in cui rappresenta il lato oscuro dell’uomo.
È vero, Faber est suae quisque fortunae nella misura in cui l’uomo può compiere il bene o il male secondo la sua volontà ma la Battistella, come i vecchi saggi orientali o i vecchi contadini del sud, riporta tutto sotto il cielo.
Questa prospettiva di una presenza silenziosa, extramondana, caratterizza tutto il romanzo rendendolo unico nel suo genere. Per questi motivi, il libro propone differenti chiavi di lettura.
Sicuramente, il testo si presenta come una sorta di giallo anomalo, una specie di noir popolare non per questo meno efficace dal punto di vista delle strategie letterarie allo scopo di creare tensione.
Il libro non si limita a questo, offre uno spaccato antropologico molto realistico delle condizioni sociali che muovono le vite dei personaggi, ivi inclusi temi molto discussi quali l’omosessualità. I personaggi sono caratterizzati in modo molto dettagliato ma non è un raccontare i personaggi, è piuttosto un mostrare le loro vite, attraverso le pagine, quasi un sipario che si apre sulla cucina di Maricò e su quello che vi avviene, dalla ricercatezza di un’espressione dialettale a una rappresentazione realistica della vita come solo De Filippo riusciva a fare. Non a caso quest’ultimo, nelle sue lezioni all’Università di Roma, ha descritto come prendevano vita i suoi personaggi. Il drammaturgo seguiva per ore delle persone che lo avevano colpito e ne traeva, poi, i tratti somatici, i modi di fare e di agire, dando vita a personaggi molto realistici.
Lo stile del romanzo è molto leggero. È quella capacità di raccontare una storia rendendola piacevole sebbene si parli di omicidio, pedofilia, violenza, del Re di Bastoni in piedi, della morte che si configura, in questo caso, in virtù del “tutto sotto il cielo”, semplicemente come il rovescio della medaglia, la Vita. Infatti, ai personaggi del Re di Bastoni In Piedi non resta che vivere nel modo migliore possibile. E, sebbene vi sia un clima molto oscuro diffuso nel romanzo, questo viene stemperato da una narrazione ironica che trasforma la vicenda di Maricò in una bella storia, infine, una storia di buoni sentimenti, una Speranza per chi sa coglierne il messaggio.

(Luigi Bonaro)

martedì 23 agosto 2011

Bastardo numero uno, di Janet Evanovich


Io sono una lettrice onnivora e disordinata. Passo mesi senza aprire un romanzo, poi ne ingollo tre o quattro di seguito, il più delle volte comprati in maniera compulsiva senza nessuna idea della trama o dei personaggi, solo perché mi piacciono il titolo o la copertina. A Bastardo numero Uno proprio non ho saputo resistere! Solo in seguito ho scoperto che questo è il primo di una lunga serie di romanzi scritti dall’autrice Janet Evanovich e che ha avuto un grossissimo successo negli States. Da poco Salani ha pubblicato un nuovo capitolo della saga dal titolo Sei nei guai. Ma a noi piace fare le cose per bene quindi eccovi l’inizio della storia. Il numero uno. Bastardo numero Uno.

Avevo intenzione di comprare una bomboletta di spray antiaggressione.
Non ero molto brava con la pistola, ma con la lacca non mi batteva nessuno.

Stephanie Plum non ha il fisico, o meglio, ce l’ha ma non è certo quello più adatto a spacciarsi per una temibile agente di recupero, un modo appena più elegante per definire una cacciatrice di taglie. Lei odia correre, usa lacca e rossetto in quantità, va in giro con tacchi e short. Eppure, licenziata dal suo lavoro di rappresentante di biancheria intima, mentre i mobili e gli elettrodomestici di casa spariscono inghiottiti dalle inesorabili fauci del monte dei pegni, quel lavoro pare essere l’unica possibilità che le resta per sopravvivere. È sufficiente che la disoccupata e depressa Stephanie dica due paroline allo spregevole cugino Vinnie ricordandogli i suoi discutibili gusti sessuali che voilà il lavoro è tutto suo. Un recupero da diecimila dollari netti. Tutto perfetto, se non fosse che il caso in questione si chiama Joe Morelli. Il figo più figo del quartiere che anni prima l’ha coinvolta in fugaci approcci sessuali dietro il bancone di una pasticceria. Quale miglior occasione per vendicare la ferita sul suo cuore di adolescente? L’unico problema è che Stephanie di indagini, recupero e maniere forti non ne capisce un bel niente. Riuscirà nella sua missione di afferrare il pericoloso malvivente e ritrovare un equilibrio esistenziale grazie a quella nuova occupazione?
Come abbiamo anticipato, Bastardo numero Uno è il primo di una lunga serie di romanzi di Janet Evanovich che ha come protagonista Stephanie Plum. Un successo così clamoroso da contare milioni e milioni di copie vendute in tutto il mondo, una quantità enorme
di premi e recensioni positive e una larga schiera di fan. Qual è il segreto di questo successo? Di certo uno dei punti di forza della Evanovich è nello stile molto fresco e leggero, nella capacità di mantenere un tono sempre ironico anche nelle situazioni più disperate. In tutto il romanzo si sente forte il pericolo che incombe sull’incauta protagonista, eppure la lettura strappa più di un sorriso e non delude. Non siamo di fronte a una pseudo Bridget Jones dell’investigazione ma a un personaggio che ha un suo spessore e una sua personalità assolutamente definiti e accattivanti. Un libro completo insomma. Azione, amore, sesso, intrighi, vendette, dissapori. Nelle storie di Stephanie non manca nulla. L’unico neo, o forse vantaggio, ma va comunque segnalato, è un taglio decisamente al femminile della storia. Per una lettrice la Plum è un personaggio con cui si crea un’immediata empatia ma non sono certa che per un lettore sarebbe lo stesso. Potrebbe trovare interessanti certe trovate pruriginose, forse, ma poco più di questo. Un thriller scritto da una donna per le donne quindi e forse proprio in questo sta la sua peculiarità.
Un’ultima segnalazione riguarda le edizioni.
Il romanzo è stato edito in Italia in una prima versione (1994) da Sperling e Kupfer con il titolo Tutto per denaro. La recensione si basa invece sull’edizione Salani del 2007.

(Laura Platamone)


giovedì 18 agosto 2011

Giallo, di Dario Argento

Giallo.
Il Terzo Occhio ha atteso, paziente, il momento giusto per guardare con la sua pupilla dilatata questo film.
Occorreva una certa preparazione.
Troppo era già stato detto.
Dei difetti, della sfortuna, della bassa qualità, della mancata distribuzione nelle sale con uscita direttamente in dvd, del disastro cinematografico in cui è incorso il maestro dell'horror italiano.
Eppure di carte da giocare questo film ne ha.
Adrien Brody, Premio Oscar, convincente nelle sue espressioni da duro dal passato tenebroso, la sigaretta appesa alle labbra, lo sguardo che sa di morte e compassione di fronte all'insistenza disperata della co-protagonista del film, una Emmanuelle Seigner che, nonostante l'età, è ancora bella e dotata del giusto fascino.
Lui, un ispettore che chiamano lupo solitario, perché diverso dagli altri, chiuso, asociale, dal passato tragico, vittima di quel sistema che ora cerca di combattere.
Lei, sorella di una delle vittime del pericoloso serial killer chiamato Giallo (per via dell'itterizia), sempre pronta a rompere le uova nel paniere a Brody, una palla al piede difficile da scollarsi di dosso, che finirà, negli ultimi istanti della pellicola, col prendere a parolacce il nostro eroe solo per aver fatto il suo dovere.
Già, il finale. Attenti agli spoiler.
Peccato che negli ultimi fotogrammi il regista abbia voluto regalare una sorta di lieto fine a un film che, se fosse finito pochi secondi prima, avrebbe lasciato di sasso gli spettatori, se non altro per la beffa che, invece, viene prima proposta, con discreto coraggio, e poi ritirata.
Non diciamo di più, non vorremmo rovinare la sorpresa.
La regia è quella classica dei film anni 80, con inquadrature a scorrimento, dall'alto, rapidi primi piani sulle espressioni, schizzi di sangue e teste spaccate in pieno stile splatter.
La sensazione è che qualcosa del vecchio Dario Argento sia sopravvissuto in questo film, sebbene non sia venuto fuori al meglio. Alcune trovate sono interessanti ma nel complesso manca quell'originalità che ha contraddistinto le prime opere del Maestro del cinema horror italiano.
Insomma, la storia si segue con piacere, non vi sono artifici di trama particolari, i personaggi sono a loro modo credibili anche se lievemente enfatizzati nei comportamenti.
Per lo più girato in interni e in notturna, l'atmosfera è volutamente claustrofobica, il che aiuta a rafforzare quel filo di tensione che altrimenti sarebbe troppo sottile per restarvi saldamente aggrappati.
C'è la violenza, come d'obbligo in questo caso, c'è un po' di splatter (non molto, per fortuna), più per fare scena che per necessità. C'è ironia nel susseguirsi degli eventi che portano i vari protagonisti ad assumere atteggiamenti lontani dalle loro caratterstiche iniziali.
Gli appassionati di horror lo troveranno forse un po' fiacco, gli amanti del thriller un po' troppo efferato, i fan di Dario Argento lievemente al di sotto delle aspettative. Per il Terzo Occhio, sono due coltelli.




(Daniele Picciuti)

giovedì 11 agosto 2011

Lullaby, la farfalla d’inchiostro e la proiezione onirica


“Solo immagini fuggenti come una notte di mezza estate in cui credi che la giovinezza ti permetta di poter realizzare i sogni. Una foto che sbiadisce man mano che ti avvicini per guardarla. Un tramonto che troppo in fretta si trasforma in una notte buia senza stelle e senza luna.”
Come in A Midsummer Night's Dream, Barbara Baraldi ammanta il lettore di una nebbia fatata in virtù della quale ci si trova sognanti sul “limitare del bosco” già dalle prime pagine. Ma il bosco Shakespeariano da lei ricordato viene trasformato in incubo, un incubo quotidiano perché è così che succede sempre.
E, come sempre, è di scena l’inconscio, il bosco archetipico. Il lettore viene fatto accomodare, come davanti a un palcoscenico silenzioso, ed ecco che il sipario rosso si apre. In scena è presente la semplicità dei sentimenti contro la complessità degli istinti.
Il protagonista è l’oscurità, il ragno che arriva dolcemente attraverso le ombre del sole calante, cercando la paura nell’oscurità. Barbara ricorda il brano di Robert Smith e non a caso.
Lullaby mostra come nessuno sia buono o cattivo ma è evidente come tutti siano malati di umanità laddove l’istinto muove ciò che la ragione paralizza, il tutto con una sensibilità molto particolare e con una complessità che compare al lettore come rara semplicità. Come Bukowski, secondo cui “Il genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice”, così, nelle pagine del romanzo, è presente un narrare molto semplice che arriva dritto ai meandri dell’essere, mostrando ciò che in genere si tiene scrupolosamente nascosto, per consuetudine, per timore, pudore… o paura.
E, in risposta al solito maschilismo di Henry Chinaski, qui è una donna, una scrittrice geniale, a raccontare magistralmente la Paura, questa “farfalla nera d’inchiostro”, come Barbara ama immaginarla, che vola lontano man mano che la narrazione volge al termine.
Ė uno scrivere con gli occhi chiusi quello di Lullaby, una narrazione onirica e una traccia sfortunatamente troppo vicina alla realtà. Come in un sogno, i particolari dell’esperienza quotidiana vengono a essere rielaborati in una sorta di rappresentazione che è l’immagine di una realtà distorta e irreale, che è lo specchio della vita.
Giada, la ragazzina nera, è una giovane come tante. Ė ribelle e reagisce a un sistema sociale che perpetua e impone stereotipi sociali. Anche Marcello è un ragazzo come tanti. Marcello scrive e attende l’ispirazione davanti allo schermo nero di un computer, sullo sfondo di una vita che va sempre più in pezzi, non lavora, sua madre è malata, gli si secca il sangue. Questi sono gli eroi di Lullaby, i protagonisti, persone che la società attuale classificherebbe come ragazzina disadattata e disoccupato depresso. Ma Barbara sceglie loro, racconta le loro storie e dal loro punto di vista e poi gli dà nuovamente quella fiducia, quella voce che la società gli aveva tolto impunemente. Lullaby racconta l’orrore della disperazione nella vita di ogni giorno. Non ci sono personaggi straordinari né eventi soprannaturali in queste pagine, è semplicemente la vita, la storia degli umili, dei piccoli. Ė la verisimiglianza verghiana della Lupa, ma, al contempo, è l’orrore di quel luccichio della scure al sole, che si abbatte sul rifiuto sociale del diverso, quel rifiuto che tramuta gli uomini in mostri.
Per questo motivo Lullaby ha profondi riferimenti che hanno radici solide nella produzione letteraria del passato.
Non si può parlare di una vera e propria analogia con i Vinti verghiani, né con gli Umili manzoniani. Ai Vinti della Baraldi manca la lotta drammatica contro il destino e gli Umili di Lullaby non hanno la provvidenza divina che li guida nella storia. Tuttavia, si percepisce in tutto il testo una misteriosa aura sovrannaturale che non è esplicita, ma solo accennata, quasi come percepita dai personaggi attraverso coincidenze, piccoli indizi della presenza silenziosa di una realtà nascosta, il vero motore della storia, che scorre sotto le vite di questi due ragazzi semplici che chiedono solo di poter vivere.
La ragazzina nera, Giada, ricorda molto Rosso Malpelo, gli altri che “hanno paura di vederselo comparire dinanzi, coi capelli rossi e gli occhiacci grigi”. E anche di Giada molti hanno paura, ma lei, come Rosso Malpelo, ha poi un’umanità disarmante. Entrambi rappresentano una diversità sociale e i diversi colori, la ragazzina nera e il ragazzo rosso, sono simbolo di qualcosa. Entrambi, per la società, rappresentano il male, entrambi sono vittime di un disagio, entrambi vivono ai margini e pagano con l’ostracismo il loro desiderio di essere amati.
Se la caratterizzazione dei personaggi ricalca per certi versi una traccia verghiana, anche il prologo con la descrizione della natura presso l’acquedotto, ad esempio, ricorda molto le meravigliose rappresentazioni letterarie del primo novecento. Si pensi all’introduzione di Malaria:
“Vi nasce e vi muore il sole di brace, e la luna smorta, e la Puddara, che sembra navigare in un mare che svapori, e gli uccelli e le margherite bianche della primavera, e l'estate arsa, e vi passano in lunghe file nere le anitre nel nuvolo dell'autunno, e il fiume che luccica quasi fosse di metallo, fra le rive larghe e abbandonate, bianche, slabbrate, sparse di ciottoli”.
Dunque, sebbene vi sia un riferimento molto forte alla precedente tradizione letteraria, Barbara introduce il noir e lo fa senza fronzoli e, come fosse un pittore, aggiunge semplicemente al suo quadro dei nuovi elementi. Ma anche il Noir, in Lullaby, viene trattato in modo innovativo.
Non voglio dilungarmi oltre, ma un elemento molto interessante, oltre all’ironia che viene sapientemente gestita e alle altre innovazioni stilistiche portate nel genere dalla Baraldi, è il fatto che, diversamente dai romanzi Noir, dove le atmosfere sono molto cupe e oscure, qui sono descritti dei paesaggi molto caldi e luminosi.
Le atmosfere evocate dal romanzo non vengono assolutamente penalizzate per questo. Leggendo Lullaby, il Noir, il Nero si rivela, prorompe forte, dal fondo dalle passioni dei personaggi, e si insinua nel cuore di tutti noi.

(Luigi Bonaro)

lunedì 8 agosto 2011

Leggende, storie e mostri delle Valtellina (e dintorni)

Le gite di fine settimana in montagna sono appuntamenti irrinunciabili che ogni estate cerco di fare a week end alterni.
Nonostante sia un tipico vizioso (e viziato) abitante di città, ogni tanto mi piace rigenerarmi in un contesto in cui la modernità – comunque dilagante e invasiva – fatica ancora un po' a inglobare tutto.
Certo, oramai è difficile trovare delle località di montagna, se si eccettua qualche borgo isolato per mere ragioni geografiche, non invase da torme di aperitivari milanesi in trasferta tattica a bordo di costosissimi SUV. È un peccato vedere che tocca alla gente di montagna adattarsi a questa invasione lanzichenecca, e non viceversa. I cittadini chiedono locali alla moda? Facciamoglieli. Vogliono piste da sci? Eccole, con tutti i comfort del caso.
Ricordo che fino a una quindicina di anni fa i montanari erano molto più recalcitranti ad accogliere i forestieri. Probabilmente le vecchie generazioni conservavano quella tipica diffidenza di chi cresce lontano dai deliri della gente di pianura, quindi non vedevano di buon occhio chi tentava di imporre un altro modo di vivere a casa loro. Ora invece si preferisce mungere i ricchi turisti del fine settimana, piuttosto che le mucche.

Meglio quindi ricordare quel senso di mistero e riverenza che i monti ispirano a chi ancora riesce a fermarsi ad ascoltare, tra una suoneria di cellulare e un MP3. Non a caso le valli italiane sono zeppe di leggende e storie popolari che le vedono abitate da streghe, orchi, uomini selvatici, fantasmi e diavoli. Oggi vi parlerò di alcuni miti che riguardano la Valtellina e i suoi dintorni, luoghi che sono spesso meta del mio girovagare estivo.

La bestia del Diavolo

È particolarmente viva, in molti paesi della Valtellina, la leggenda della “cavra bésüla”, chiamata nella versione maschile “caurabésül”. Si tratterebbe di una capra (o di un caprone) che segnala la sua presenza emettendo un verso lamentoso e terrificante.“Bésüi”, in dialetto locale, significa infatti “urla disumane”. Il suono sinistro di qualche animale notturno induceva a immaginare la sua presenza: fatto sta che, come raccontavano un tempo gli anziani ai bambini, addentrarsi di notte in un bosco, soprattutto se si aveva la coscienza sporca per qualche cattiva azione, significava esporsi al rischio di vedersi comparire innanzi questo animale orribile e famelico, presentato, di volta in volta, come manifestazione del Demonio, di qualche strega o di qualche anima dannata particolarmente cattiva.

I dannati che tornano nelle valli

Il Sommo Poeta Dante ci insegna che le pene infernali obbediscono sempre alla regola del contrappasso. Nel suo Inferno immagina i golosi immersi in una fanghiglia fetida. Più mite sorte tocca invece ai golosi della Val di Togno, condannati in eterno a cibarsi della poca erba offerta dai magri pascoli della valle. I vecchi assicurano che, all’ultimo rintocco della mezzanotte, la valle, da Ca’ Brunai, nel suo settore di mezzo, fino all’alpe Painale, dove si chiude, si popola di ombre misteriose che, anche nella fattezza di capre, si avventano fameliche su quei cespugli che non potranno mai spegnere la loro fame. Si tratta delle anime dei golosi, qui confinati e condannati a cibarsi dei miseri cespugli d'erba amara.
Anche Giuseppina Lombardini (cfr. Ezio Pavesi, Valmalenco, Cappelli Editore, 1969) parla di questa leggenda, secondo la quale dopo i rintocchi di mezzanotte della campana della distrutta chiesetta di S. Eusemio a Sondrio, sulla mulattiera che da Ca' Brunai porta al laghetto di Painale le spettrali ombre dei golosi sondriesi si affollano per divorare avidamente la scarsa erba.
Aurelio Garobbio, in Montagne e valli incantate (Cappelli editore, Rocca S. Casciano, 1963) aggiunge che le anime dei ricchi sondriesi trapassati escono a mezzanotte dalle case Botterini, Sassi, Lavizzari e Sertoli, dal Cimitero, dall'Ospedale e dall'Enologica Valtellinese, e si avviano su per la Valmalenco, aggrappandosi a rupi e arbusti, divorando erbe e vermi, con una voracità mostruosa.

I Mani oscuri

La leggenda dei Mani della omonima regione, la Val di Mani, è ancora più particolare. Questi sarebbero oscuri spiriti – forse derivati dalle medesime divinità minori del pantheon romano – che abitavano i recessi oscuri della valle cui li lega il nome, uscendone però spesso, a danno dei Cristiani, detestati per aver messo al bando i culti pagani, tra cui il loro.
Eccoli allora imperversare su campi e alpeggi: con il loro fetido fiato li rendevano brulli e desolati, prosciugavano le mammelle delle mucche, rendevano difficile perfino alle donne concepire i figli. Il loro alito pestifero diffondeva ovunque morte e desolazione.
Un giorno un sant'uomo dotato di vera fede, Don Sebastiano, riuscì nell'intento di esorcizzarli dalla valle. A quanto pare durante il rituale riuscì a vedere coi suoi stessi occhi una torma di figure oscure, i Mani. Prima di andarsene, banditi dalle preghiere del prete, essi gli promisero che sarebbero tornati. Spaventato, Don Sebastiano disse loro che avrebbero potuto trovar pace nella vicina Val di Togno, e i Mani lo ascoltarono. Peccato che quella promessa fu dettata solo dalla necessità del sacerdote di liberare la sua gente, senza curarsi delle conseguenze. Infatti, arrivati nella valle sull'altro versante del monte, i Mani iniziarono a spargere lì la loro influenza mefitica. Essa si fa sentire ancora oggi, perché si attende un nuovo don Sebastiano che abbia la sufficiente statura di santità per porvi fine.

(Fonte: http://www.paesidivaltellina.it/)

(Alessandro Girola)


sabato 6 agosto 2011

In uscita H n. 2, l'almanacco di Horror Magazine

Great Eastern la nave stregata – Omaggio a William Hope Hodgson

Interviste con Joe Hill, Brian Keene – Jonathan Maberry – Chiara Palazzolo

Racconti di Sarah Langan

Racconti dei vincitori del Premio Algernon Blackwood

È finalmente disponibile il n. 2 di H, l’Almanacco di Horror Magazine.

In questo numero protagonista è l’acqua, ovviamente “infestata” dall’elemento sovrannaturale…

Sarah Langan ci mostrerà solitudini al di là del mondo terreno con l’inedita short story The Lost. Sarà un aprire le danze, poiché al suo seguito troverete i tre racconti vincitori della prima edizione del Premio Algernon Blackwood:

Il Calzolaio di Zawadka di Sergio Donato
Nanni Orcu di Luigi Musolino
Dove muore il giorno di Daniele Picciuti

A seguire, interviste esclusive ad autori del calibro di Joe Hill, Brian Keene, Jonathan Maberry, Chiara Palazzolo e al produttore Alberto Marini, sceneggiatore di Sleep Tight, il prossimo film di Jaume Balaguerò.

Gianfranco Manfredi illustra il lato più nascosto di Emilio Salgari; Danilo Arona osserva da vicino William Hodgson; Emilio Audissino presenta, sulle note inquietanti de Lo Squalo, il compositore John Williams; Kristle Reed riesuma dalle nebbie del tempo, nella rubrica Dark Gazette, le Great Eastern, la nave maledetta creata da Isambard Kingdom Brunel. Da menzionare anche una nuova agenda: Il Corriere di Atlantide, dove riscoprire temi e romanzi dimenticati.

E ancora: cinque splendidi mini-fumetti del sovrannaturale a tema marino; nelle anteprime, Box Office 3D sfida Horror Movie, in uno scontro fra parodie dark; Morbo Veneziano, il primo volume della collana Vitriol della Cut-Up Edizioni e i DVD italiani di The Walking Dead.

Infine, in chiusura di volume trovate Rhiannon Frater, la prima autrice a entrare nel club delle Zombie Novel con Il Primo Giorno, secondo volume della collana Odissea Zombie, di Delos books.

La cover “L’attacco di Cthulhu ” è di Claire Beard.

Vai al sito Horror Magazine


giovedì 4 agosto 2011

Concorso Fotografico "Un anno di Nero Cafè"


Nero Cafè bandisce il primo concorso di fotografia “Un anno di Nero Cafè”.
Possono partecipare al concorso tutti gli utenti regolarmente registrati sul Forum di Nero Cafè (http://www.nerocafe.forumfree.net). Per essere regolarmente registrati occorre essersi presentati postando una nuova discussione in Area Benvenuti.

Di seguito, il regolamento in dettaglio:

1. Possono partecipare al concorso fotografie che rispettino i temi trattati da Nero Cafè, ovvero i generi giallo, noir, thriller, gothic, horror. A titolo di esempio, possono essere inviate foto di luoghi paurosi o misteriosi, ricostruzioni di delitti o scene ispirate a film dei generi su citati, e ancora volti, persone, animali, oggetti o qualsiasi altro soggetto che possa richiamare i suddetti temi, sempre nel rispetto della legalità. A questo proposito, saranno escluse le immagini di animali e persone morte o che portino evidenti segni di sevizie, che possano addurre dubbi sulla finzione delle opere (fotografie raffiguranti morti o violenze palesemente reali verranno denunciate alle autorità competenti).

2. Ogni autore può partecipare con un massimo di tre fotografie. La partecipazione è gratuita. Le immagini vanno inviate in allegato via email all’indirizzo info.nerocafe@gmail.com e devono essere in alta risoluzione. Il nome del file deve corrispondere al nome della foto. In allegato alla mail (o come testo nella mail stessa), gli autori dovranno indicare i propri dati (nome, cognome, indirizzo, recapito mail) e una dichiarazione di paternità delle opere. Termine ultimo per l’invio delle opere è il 30.11.2011.

3. Una volta ricevute le foto, la Redazione ne deciderà l’ammissione. In caso di esito positivo, ognuna di esse verrà postata in una apposita discussione all’interno del forum nella sezione dedicata al premio, in Area Concorsi.

4. Tutti gli autori sono invitati a commentare le foto degli altri utenti. La fotografia che, alla data del 30.11.2011 riceverà più commenti in assoluto, sarà automaticamente selezionata per il calendario, vincendo il titolo di “Premio Nero Cafè”.

5. Passata la scadenza, la Redazione vaglierà le opere in concorso e selezionerà le restanti fotografie per il calendario. In particolare, saranno previsti tre titoli speciali: “Miglior Atmosfera Noir”, “Miglior Soggetto Giallo”, “Migliori Effetti Horror”.

6. Tutti i selezionati riceveranno una copia gratuita del Calendario. I vincitori dei quattro titoli speciali riceveranno inoltre una copia stampata del n. 3 di Knife Magazine.


Vincitore e finalisti del Premio Nero Angeli


Ci siamo.
Dopo tanto attendere, finalmente i sette giurati si sono espressi, non sempre concordemente tra loro, e questo ha contribuito a creare una suspense anche tra i votanti, poiché fino all'ultimo momento la vittoria è stata in bilico tra un pugno di racconti.
Ma poi è emerso il vincitore.

Ai primi cinque classificati, che accedono in automatico alla pubblicazione, si aggiungeranno altri racconti, ancora da definire, poiché la questione dovrà prima passare sotto l'occhio de Il Mondo Digitale Editore, che si pronuncerà dopo l'estate.
La pubblicazione dell'antologia è prevista per la fine dell'anno, quindi gli autori selezionati verranno contattati con largo anticipo per lavorare sull'editing dei testi.

Ma ora basta.
Ecco a voi la fortunata cinquina:


1. Clockwork Angel, di Valentina Coscia - VINCITORE DEL PREMIO NERO ANGELI

Racconto delicato, ma al tempo stesso tagliente, doloroso, amarissimo; il finale, inatteso, impreziosisce una storia che non si lascia diluire in facili, consolatorie soluzioni. C’è un ottimo equilibrio tra l’aspetto fantastico e il quotidiano: scivolano l’uno nell’altro con naturalezza, ed è una cosa molto difficile a farsi.
Anche lo stile narrativo semplice, caratterizzato da frasi brevi e numerose andate a capo, rende scorrevole la lettura e nel contempo riesce a trasmettere emozioni.
Appare anche molto equilibrato. Visto il tema affrontato, sarebbe stato facile cedere nel patetico, ma l’autrice riesce a evitarlo.


2. U.P.I, di Eleonora Corelli

Originale e brioso, con una giusta dose di ironico umorismo, coinvolge e diverte al tempo stesso, risultato non sempre facile da ottenere. Si crea immediatamente empatia (e simpatia) nei confronti dello sfortunato angelo protagonista, fin troppo “umano” e del tutto inetto. Storia decisamente fuori dagli schemi, con un finale che non può non lasciare appagati.


3. Mezzangelo, di Sergio Donato

Un’ironia sferzante è al servizio di questa storia davvero “angel-noir”; si sorride e si seguono con divertita malizia le truci disavventure del protagonista, fra dialoghi che non dispiacerebbero affatto a Quentin Tarantino. Originale e suggestiva la descrizione della metamorfosi, così come l’idea di un angelo a metà.
I dialoghi sono particolarmente efficaci, arricchiti da una giusta dose di ironia che rende piacevole la lettura.
Bella anche l’atmosfera, un mix ben calibrato di note dark e surreali.


4. Prigione di carne, di Carlo Vicenzi

Attraverso un continuo avvicendarsi dei punti di vista narrativi, questo racconto mette in scena un dramma molto più umano che angelico, scavando nelle ossa stesse della sensibilità e delle profondità emotive dell’uomo. Sebbene l'idea non sia originalissima e il finale si intuisca, è una storia ben scritta, capace di trasmettere emozioni.
L’immagine del bambino che scioglie il palloncino chiude in maniera quasi poetica.


5. Hell City, di Gabriele Lattanzio

Storia abbastanza fantasiosa, con finale repentino ma che convince, forse perché tocca un tasto dolente: la facilità con cui gli esseri umani si lasciano corrompere.
L’autore riesce a suscitare curiosità, a tener viva l’attenzione e, nel contempo, riesce a spiazzare con un buon effetto sorpresa nel finale. La “trasformazione” - nelle ultime righe - di Gabriele giunge inaspettata e fa virare il racconto verso l'inaspettato.


A Valentina Coscia toccherà passare sotto i raggi X della rubrica Black Mind, che uscirà nel numero 2 di Knife a settembre. Consigliamo di prepararsi alla non facile prova.

Ancora complimenti a tutti!

mercoledì 3 agosto 2011

Morte in aprile, di José Luis Correa


Lei si addormentò, o finse di addormentarsi, molto prima di me, non per niente io mi ero alzato dopo mezzogiorno. Mi dedicai a sentirla respirare accanto a me, ad ascoltare i suoi gemiti, a sentire il suo profumo, a vegliarle il sonno, ad accoglierla nell'incavo delle mie braccia quando si girò e si accoccolò lì come se avesse intenzione di restarci a vivere per sempre. E mi dedicai a restituirle ognuno dei suoi baci, veri o sognati, e a ricevere il calore del suo corpo e a desiderarla di nuovo e sempre con dolcezza.

Torna Ricardo Blanco, detective di Las Palmas che sembra venuto fuori da un altro tempo, duro e cinico a volte, ma anche goffo e sentimentale, creatura sull'orlo dell'estinzione, che non si rassegna alle ingiustizie e lotta strenuamente contro di esse, anche gratis se occorre, pur di mettere a nudo le nascoste verità in cui viene continuamente invischiato.
Questo secondo capitolo delle sue avventure è forse più profondo rispetto al primo, la sua personalità si delinea in maniera più precisa, dipingendone la forza e la fragilità con tratti da maestro. Correa, a suo modo, è un maestro. Abile nel tessere una ragnatela in cui invischiare il suo amato protatonista, abile nel mettere in piedi situazioni anche al limite del credibile, che il lettore finisce per accettare per buone perché, si dice, è il mondo di Ricardo Blanco a essere al limite del credibile.
Le passioni del detective vengono stravolte in questo romanzo da un serial killer spietato e lucido, pur nella sua pazzia. Le persone che ama verranno trascinate in un vortice che rischia di portarsi via quello stesso mondo di Blanco, così variopinto, vivido, indimenticabile.
Un moderno eroe, o antieroe, dai vecchi valori, capace di emozionarsi per le disgrazie altrui, mai rassegnato alla crudezza degli eventi, sempre in prima linea, anche a rischio della propria reputazione, per non dire della propria vita.
Tornano le figure di Colacho Arteaga, stolido nonno di Blanco, impegnato a lottare contro i fantasmi della vecchiaia, l'inappuntabile segretaria Ines, il medico dei perdenti Pancho Viera e l'ispettore Alvarez, un altro monumento sopravvissuto alla modernità, dai valori simili a quelli del nostro detective, per questo un buon socio con cui collaborare. Ma a cui non dire mai tutto e subito perché, nella visione di Blanco, è lui l'unico in grado di viaggiare sul filo della legalità.
E poi le donne. Le sue donne.
Malena, Elvira Verona, Lola, Marita, Laura. Donne che entrano nella sua vita anche solo per brevi momenti, lasciando segni indelebili.
Così come questo libro. Da non perdere.

(Daniele Picciuti)


martedì 2 agosto 2011

Premio Nero Short: Vincitore e finalisti


La Redazione di Nero Cafè ha letto i racconti di questa prima edizione del Premio Nero Short e, dopo sanguinolenta congiunzione di diversi punti di vista, si è giunti alla seguente classisfica finale, con tanto di commenti:

Primo Classificato
Non andate in pace, di Sergio Donato

Il racconto offre tinte molto nere e strizza l'occhio al genere noir, ma senza eccedere, tenendosi vivo su dialoghi convincenti, che tengono desta l'attenzione. Lo stile è maturo e il linguaggio ricercato, tutt'altro che pomposo. Il finale, tra i più originali, sebbene da un lato smorzi la vicenda col rischio di trasformare il colpo di scena in un non-colpo di scena, riesce comunque a colpire, aggirando le aspettative del lettore con la giusta dose di sorpresa.

Secondo Classificato
Fumo negli occhi, di Annamaria Pezzimenti

Atmosfere noir nelle descrizioni e nei dialoghi, lo stile appare consapevole, anche qui il linguaggio è ricercato ed evocativo. Alcuni luoghi comuni (da film) soprattutto nei dialoghi, smorzano a tratti il coinvolgimento emotivo. Il finale appare un po' forzato, soprattutto le ultime battute prima di morire, sanno di troppo artificioso. Resta comunque un lavoro pregevole.


Terzo classificato (a pari merito)
Rorscharch, di Maurizio Vicedomini

Il racconto dalla struttura più originale. La divisione su due punti di vista funziona, anche l'espediente del racconto risulta gustoso. Ciò che piace di meno è l'inserimento della storia all'interno dell’identità-concorso, che sa di "tema" forzato, un po' troppo fine a se stesso. Incesellare la storia in qualsiasi altro contesto che non fosse il sistema "concorso-voti-commenti" lo avrebbe reso più autonomo e convincente. Attenzione alla forma, soprattutto sui segni di dialogo. I segni << e >> non sono segni di dialogo, vanno sostituite con le caporali (occorre impostare la sostituzione del carattere nell'editor di testo in uso) oppure con trattini o virgolette alte.

Terzo classificato (a pari merito)
Come sempre, di Luca Pagnini

Il racconto è scritto bene, anche i dialoghi funzionano. Il rapporto morboso tra i due protagonisti risulta piacevolmente fastidioso, quel giusto che serve a provare empatia al contrario verso la coppia. Il linguaggio e lo stile sono buoni, il colpo di scena finale strappa un sorriso. Dopo aver provato la giusta antipatia, l'esito soddisfa il lettore. L'impostazione è rischiosa, ma in questo caso funziona.

Leggi l'annuncio sul Forum

lunedì 1 agosto 2011

Nasce l'Associazione Culturale Nero Cafè


Mentre il mondo fuori entra nel pieno dell'estate, le cose, qui, nell'involucro oscuro e pulsante della redazione, continuano a girare vorticosamente.
Pochi lo sapevano, qualcuno aveva sentito voci di corridoio, la maggior parte però ne verrà al corrente soltanto ora.
Nero Cafè lascia la condizione eterea di semplice Blog e diventa Associazione Culturale.

Un grazie è dovuto.
Grazie a tutti i nostri lettori, che ci hanno seguito in questo anno di esistenza. Grazie per il sostegno, visibile anche dal forum e dalle pagine di facebook.
Grazie per l'interesse, sempre alto, verso gli argomenti trattati dalle nostre rubriche.
E grazie per esserci. Semplicemente.
Senza la "vostra" presenza, non avremmo mai potuto pensare di fare questo passo. Difficile, ma che ci riempie di entusiasmo e di aspettative per il futuro.
Aspettative, sì, perché di progetti in ballo ce ne sono molti e potrete seguirli con noi nei prossimi mesi.
Ma essere un'Associazione significa anche dare la possibilità ai nostri lettori di associarsi.
A breve appariranno nuove sezioni dove poter rivolgere le vostre domande di iscrizione.
Si ricercano sia Soci Collaboratori, persone capaci con tanta voglia di fare e una buona dose di creatività; e Soci Ordinari, con la possibilità di scegliere tra le varie forme di abbonamento alla nostra rivista, Knife, e godere di particolari sconti sulle future iniziative della nostra Associazione che, vi assicuro, saranno tante.

E a proposito di Knife...
Il numero 2, in uscita a settembre, sarà l'ultimo scaricabile gratuitamente. Dal numero 3, quello di Dicembre, Knife approderà al cartaceo, e questa sarà una prelibatezza che i Soci di Nero Cafè potranno gustare appieno sottoscrivendo le proprie quote. Per tutti gli altri, sarà possibile scaricare gratuitamente un'anteprima della rivista e, a un costo molto basso, l'intero numero in ebook. Naturalmente molti dettagli sono ancora in via di definizione.
Tali fondi saranno destinati al finanziamento di Knife, alla sua ottimizzazione sotto ogni punto di vista, e alla realizzazione di altre pubblicazioni di cui ora preferiamo non parlare, ma che già bollono in pentola, come tutto il resto.
Per ora è tutto, ma restate sintonizzati. Nuovi concorsi e contest sono dietro l'angolo.
Grazie a tutti e, concedetemelo, un brindisi alla redazione e a tutti i nerocafettiani che ci seguono!

(Daniele Picciuti, Marco Battaglia, Laura Platamone)


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